Dal 7 settembre 2016 allo scorso luglio ho vissuto Susa (To). Piena di aspettative e convinta che il cambiamento non mi avrebbe impaurita ho dovuto, presto, fare i conti con una realtà diversa fatta di poco lavoro e difficoltà nell’adattarmi ad una vita e ad una comunità profondamente diverse da quelle da cui provengo.

Volendo familiarizzare con il nuovo mondo che mi circondava e ,visto che da tempo avevo in mente di realizzare un progetto fotografico sulla resilienza, ho acquistato dei rullini Kodak bianco e nero e ho iniziato a guardarmi intorno.

Resilienza vuol dire tante cose: elasticità, capacità di reinventarsi e reagire dopo un evento traumatico  lasciandosi modificare per rimanere però se stessi.

La pellicola perché, in perfetta sintonia con la semplicità e l’essenzialità che cerco da tempo, avevo bisogno di tornare alle origini, di far passare del tempo prima di vedere le foto, di ragionare prima di inquadrare ma allo stesso tempo di avere un approccio più scarno possibile alla fotografia.

Bianco e nero perché così vedo le cose ed  è così che voglio vederle poi stampate.

Trattandosi di un territorio molto vasto, ho voluto limitare il mio campo di indagine allo spazio compreso tra Torino e la Francia, seguendo come direttive la Strada Statale 24 del Monginevro e quella 25 del Moncenisio. E ho deciso poi che avrei fotografato solo per un anno!

Susa e a metà strada e qui, terra di conflitti, di rivoluzioni ma anche di radicate tradizioni, ho trovato uno specchio per il mio spaesamento.

Se è vero che la fotografia è terapeutica è anche vero che, come da copione, in un momento di poca chiarezza, riaffiorano vecchi fantasmi e vecchie conoscenze interiori poco raccomandabili e io le mie le ho fotografate.

E così ho fotografato, nel modo più scarno ed essenziale possibile, la paura della solitudine sul Moncenisio, le vecchie industrie vinte dalla crisi che mi ricordavano casa, edifici e borgate in rovina ma che sembrano più abitate di abitazioni nuove di zecca.

Ho fotografato i paesi minuscoli di frontiera, le porte socchiuse e per me minacciose ma anche la montagna immensa e mai uguale a se stessa. Ho fotografato le vecchie linee di guerra immaginando i ragazzi che qui hanno combattuto contro pene ben peggiori delle mie. Ho fotografato  le case in protesta contro la Tav, insegne e cartelli che scopri per caso in mezzo ai boschi. E poi ho fotografato l’acqua che , senza velleità metaforiche, domina l’intera valle senza una via di mezzo tra rivoli nascosti ed immensi bacini a stento trattenuti da dighe.