Limìo

“Nel cuore durava il limìo / delle cicale (UNGARETTI).”

La parola “Limìo”; indica il rumore del limare (anche figurativo) in poesia è spesso usato per indicare il suono delle cicale durante l’estate. Limìo è la mia madeleine uditiva: un suono che mi ricorda le estati della mia infanzia, i soleggiati pomeriggi trascorsi in una pineta giocando con i miei amici.

È un progetto in corso nato da un post pubblico su Facebook dove ho chiesto agli utenti (e ad alcune famiglie), nati nella Pianura Padana (mia terra nativa) di portarmi nella casa in cui sono nati per essere ritratti. Ho anche chiesto loro di parlarmi del loro passato, cercare vecchie fotografie o mostrami un oggetto legato alle origini della loro famiglia.

Il risultato è una narrazione collettiva fatta di ricordi, ritorni ai luoghi che i protagonisti hanno lasciato molto tempo fa, case distrutte dal terremoto, luoghi drammaticamente cambiati, storie intime e personali. Limìo è un progetto in corso che continuerà sicuramente a coinvolgere altre aree geografiche e persone.

Le foto finora scattate sono attualmente raccolte in una fanzine auto-prodotta distribuita in 30 copie numerate.

Bio

Irene Tondelli, nata a Carpi nel 1987, si è laureata in Fotografia presso la Libera Accademia di Belle Arti di Brescia e diplomata in Art Direction presso l’Accademia di Comunicazione di Milano. Il suo lavoro si concentra sulla fotografia topografica di paesaggio, documentaristica e di interiordesign. Particolarmente interessata al rapporto tra uomo e natura, paesaggio e memoria, i suoi lavori sono pubblicati su cataloghi, siti di fotografia e riviste nazionali ed internazionali.

Statement Generale

Proprio come due binari, le parole viaggio e ricerca corrono parallele. Credo che quando partiamo lo facciamo perché siamo alla ricerca di qualcosa, novità, stupore, noi stessi, ricordi… Per quanto gli scenari che ci si presentano possano essere nuovi, tendiamo sempre a ricercare consciamente o inconsciamente al loro interno qualcosa di a noi familiare, di rassicurante.

Un viaggio porta con sé delle aspettative, come quella di trovare qualcosa che quasi sicuramente non troveremo, o di recuperare qualcosa che è passato e che difficilmente riusciremo a riafferrare, aspettativa che a volte si assopisce nel torpore della nostalgia o tramonta dietro l’orizzonte di un paesaggio mozzafiato.

Lo definirei una sorta di antropomorfismo affettivo, e nel caso dei ricordi, una topografia della memoria. È però questa tensione alla ricerca che ci fa partire e ripartire ancora e che scema davanti a cascate, ghiacciai, lande infinite, per lasciare spazio allo stupore per la potenza della natura. È una sensazione molto vicina al senso di infinito e che si scontra con la nostra condizione umana, la nostra finitezza, ma che risulta esserci di conforto, ci fa sentire parte di qualcosa fuori dal nostro controllo, ma a cui apparteniamo intrinsecamente. È proprio su questa ambivalenza tra finito e infinito, paura e stupore, visione soggettiva ed oggettiva, particolari e campi lunghi che si muove la mia produzione fotografica degli ultimi anni.