Liars

Tutte le mattine mi alzo alle sei e inizia la mia routine.

Incrocio gente ma nessuno mi guarda. Osservo questa massa indistinta che si avvia verso un luogo che chiaramente non vuole raggiungere. Sei fermate all’andata. Sei al ritorno. Tutti i giorni le stesse. Una mattina prendo fra le mani la mia macchina e scatto una decina di immagini di volti. Riguardandole mi rendo conto che nessuna di quelle persone ha gli occhi rivolti verso l’alto. Il loro sguardo è spento. Guardarli mi dà la sensazione di vedere contenitori vuoti. Eppure so che, fino a pochi istanti prima, ero esattamente uno di loro.

Ogni giorno, moltissime persone a Milano si trascinano verso una destinazione, schiacciati dal peso della loro routine, tanto da non riuscire più ad alzare lo sguardo. Questa ripetizione nasce nell’infanzia e si genera in tutti i contesti sociali: il processo di alienazione è lento ma continuo, impercettibile ma devastante, come se facessimo parte di una grande catena di montaggio. Ogni gesto diviene ben rodato e si incastra sempre meglio con quello precedente e con quello successivo.

Liars è un tentativo di riflettere su tutto ciò, partendo dal mio tragitto casa-lavoro, che qui diviene intervallo universale in cui molti possono identificarsi. In questo spazio, per mesi ho osservato il rituale meccanico dell’andare e del tornare, lasciandomi attraversare dai flussi di gente e buttandomi letteralmente dentro le scene, spesso a pochi centimetri dai volti delle persone. Quello che rimane da ogni incontro è una sensazione di impotenza, che per molto tempo ho sentito anche io e che grazie al mezzo fotografico ho potuto davvero vedere.

Da dove nasce tutto questo? Chi ci ha inglobati in questa grande bugia? Ogni cosa appare decisa, definitiva, come se ci si trovasse ad un punto di non ritorno. Eppure se provo a guardarmi indietro non riesco a trovare nessun colpevole e allora penso: non riusciamo a ribellarci, o piuttosto non vogliamo? L’unica certezza è che più la consapevolezza cresce, più il peso ci schiaccia. E allora forse non ci resta che tornare a casa, abbassare la testa e continuare.

BIO

Mi chiamo Antonio Verrascina sono nato il 15 Febbraio 1983 a Milano, città in cui vivo e lavoro come consulente finanziario.

Fin da piccolo ho sempre cercato uno strumento che mi desse la possibilità di esprimermi. Ho percorso diverse strade e provato forme di espressione differenti ma nulla mi ha appagato fino in fondo. Per anni, ho avuto una reflex chiusa nell’armadio, fino a quando la vittoria di un contest fotografico aziendale ha acceso il mio interesse per la fotografia. Mi sono iscritto a un corso base e ho frequentato alcuni workshop, però la maggior parte del mio cammino è stato da autodidatta, studiando altri fotografi e semplicemente scattando per strada. Presto la passione si è trasformata in qualcosa di più grande che potrei definire quasi un’ossessione.

La fotografia è diventata parte integrante della mia vita: ovunque io vada porto la macchina con me e, attraverso questa, ho scoperto un potente mezzo di espressione. La possibilità di creare storie e di far vedere il mondo attraverso la mia personale visione delle cose è ciò che più mi fa sentire realizzato.